Compito ingrato, presentare-introdurre poesia. Perché è come spez-zarne la compattezza, interromperne la musica, smontarne la forza dell’emozione, l’energia dell’impressione. Commentare la poesia è scioglierla in prosa, cioè infliggerle la peggiore violenza.E allora, per cercare un qualche modo di rispettarle, dirò solo una cosa, di queste liriche. Dirò solo dell’ascesa emotiva, del climax sentimentale dal quale, leggendole tutte d’un fiato, m’è parso di sentirle attraversate, come in un loro progressivo dispiegarsi lungo un percorso rovesciato, rispetto a quelli più soliti, che vanno dall’incanto al disincanto, dall’illusione al dolore. Laura conosce la serietà della vita, ne sa gli strappi, le lacerazioni, le disarmonie. E questo è il punto di partenza. La vita è la nave dei folli: un pilota piromane, baldi marinai monchi, mozzi ciechi e sirene ostili. È il pittore fallito, lingue di fuoco che divorano tele, carta e acquerelli. È creare eroi e mangiarseli, costringendoli a ridursi in uomini. È la vecchiaia di Quinto, privo di un sé già dal suo nome seriale, e ormai, davanti a sé, solo «giorni mediocri e spenti». È la diffidenza e la reticenza nel riso, che pretende di vincere qualcosa sui pensieri neri, confusi con poco conforto nel vuoto freddo e umido della notte. È, spesso, il senso di colpa per lo «sbaglio», il tarlo nella tenerezza della «madre puttana». È, soprattutto, la solitudine, grido isterico di farfalla, mani agitate, invano protese verso altri soli, altri mondi, altrui desideri. Ma questo non è, per così dire, anche il punto d’arrivo. La forza espressiva, la presa sinestetica delle «voci intime» non si ferma qui. La vita è pur sempre desiderio, seduzione, erotismo. Quello ironico, istrionico della «barista» che ondeggia fianchi magri e flosci – in un raro lampo di bozzetto realista – piegati a scoprire il perizoma, così da fare dolce l’amaro caffè degli uomini. E quello letterale, prorom-pente, dell’«invischiamento», molli braccia che si fondono, umido di carni e salive, tumulto di cosce. La seduzione è nella continua meraviglia, nella perenne sorpresa, che solo un modo stanco di guardare può perdere, può rendere banale. Il reincanto è l’attesa sorniona del nuovo giorno, della nuova avventura, del nuovo dolore. È la voglia del mare: che spinge all’ignoto, al non ancora tentato; che penetra e accarezza la cicatrici dell’identico, i «pezzi scomodi» di ciascuno. È la voglia mai morta di annientare la «colpa» e mostrarsi nudi, fragili e vulnerabili, spargendo «soli incerti» negli angoli bui, «colmi d’infamia», della propria esistenza, della propria esperienza. È, soprattutto, il farsi trovare sempre pronti al «parto-partenza»: al nuovo inizio, alla nuova «verginità». Fino a esplodere di pura energia, fino a prorompere di piena potenza nella grande deflagrazione, nel «fuoco d’artificio» che apre a se stessi dal momento in cui se stessi finalmente disintegra e rilancia per «infiniti frantumi lucenti».
Prof. Riccardo Caporali