L’utopia di Lazzaro. Una rinascita oltre le ceneri. La bella silloge di Guarino si nutre dei padri della letteratura e della letteratura dei padri; dallo pseudo-rovesciamento biblico al maledettismo, dalla doppia visione omerica - di sostanza e di immagine - al marxismo eretico, la narrazione scomposta, nervosa, delle sezioni del libro vibra tra nostalgia e rassegnazione in una sorta di desiderio dell’inattuale (quale meravigliosa utopia, verrebbe da dire, la caduta della giovinezza consapevole, drammaticamente rumorosa) tale da filtrare l’immediato e la sua contingenza, scomponendo il poetabile in una visione bergsoniana del tempo. Si impone una rinascita in Guarino, un rito di passaggio che implichi trasformazione, mutazione, presa di possesso di una realtà altra. Ed eretico è il poeta in questo tentativo, instabile come le radici di cui parla, nitide e inviolabili. Un poema civile, d’amore per l’amore, emerge dalla struttura poematica, di ampio respiro: l’Autore osserva, indaga, scrive, per scandagliare situazioni emotive che porta all’esasperazione semantica e rovescia oltre l’esperienza, in visione poetica, vitalismo. Sembra invocare, Guarino; in realtà nell’invocazione è l’abiura, la non accettazione di realtà asfittiche, pressanti, che esplode in una fragilità scolpita, pudica, proprio perché narrabile. Ma nel narrabile esiste il rischio dell’omologazione, della polvere che copre di patina la nitidezza dell’esperibile. Il poeta lo evita, e lo fa in modo convincente, attraverso un linguaggio che è pastiche e, nel contempo, richiamo alla tradizione, citazione ed esasperazione del significante. Piace accostare l’Autore a un poeta della stessa generazione, Tizia-no Fratus. Come Fratus, Guarino è bulimico, scrive per accumulazione di sensazioni e situazioni. Lo differenzia, fatto che rende la sua poesia matura perché già cifra, la decomposizione della parola nei suoi meandri fonici, l’impasto materiale che la rende peso civile, atto di denuncia. E di denuncia si parla nel libro: denuncia lirica di un mondo seriale che si sfa, si corrompe negli affetti che rimpiange e tenta di superare, nella bellezza che cerca e, nel contempo, nega. Poeta della crisi, Guarino cerca la perdita d’aureola della poesia, pur sapendo che essa è ridotta a poco, a meccanismo della società veloce, instabile. Ne deriva una vera e propria poetica dell’incompiuto, figlia di Mallarmé e delle sue suggestioni frammentarie ed evocative. Ma c’è di più: ciò che coglie il lettore è la percezione di una fuga incessante, di una chiusura uterina che avvolge il poco salvabile. È solo mediante un atto di rinuncia a sé, al limite corporeo - che è parola poetica - delle cose, che la salvezza può rivelarsi, ontologica-mente dischiudersi. In fondo è questo il messaggio del libro: cercare la poesia con il fiuto del trovatore, rinascere pur per poco con l’incredulità di Lazzaro. E risorgere. Altro il poeta oggi non può, e Guarino lo sa. Così tenta la voce corale, quella di un mondo comune. E l’io è lì dentro, tenta di essere noi.
Ivan Fedeli