Intervista ad Ariase Barretta. A cura di Irene Losito

“Chi legge ha sete di sogni”: Onirica Edizioni incontra Ariase Barretta

Lo scorso 25 settembre nel cortile di Villa Brizzolara a Pozzo D’Adda in provincia di Milano, ti è stato conferito il primo premio nella sezione narrativa del concorso “La voce dei sogni”. Cosa ricordi di questo evento?
Il freddo! Scherzo. Diciamo che non è stata una semplice premiazione, ma una bella festa tra appassionati di poesia. L’atmosfera era davvero speciale. Prima della premiazione, con il pittore Leonard Torchi, che ha realizzato la copertina di Litany, abbiamo fatto un giro per il paese per fare delle foto. È stato molto bello osservare con quanta cura l’evento era stato organizzato. Le letture sono state molto avvincenti e i momenti musicali dell’arpista Silvia Minardi davvero molto suggestivi! L’accostamento di musica è poesia mi è sembrato perfetto.

Sei anche tu un artista completo: oltre alla passione per la scrittura da sempre ti dedichi alla musica. Hai anche studiato presso i conservatori di Salerno e Benevento. Raccontaci un po’…
Ho studiato pianoforte e composizione corale. Attualmente suono il basso elettrico. Gli studi musicali esigono sacrificio e dedizione assoluta. Non c’è scampo! Persino un genio come Mozart veniva inchiodato al piano da suo padre per otto ore al giorno. La musica è sempre stata una presenza costante nella mia vita, non potrei vivere senza! Tuttavia devo riconoscere che io le sono stato molto infedele, pertanto non ho la presunzione di considerarmi un musicista: la mia prima passione è sempre stata la scrittura! Posso, però, dire di aver imparato tutto quello che so della scrittura proprio dalla musica. È dalle fughe di Bach che che ho imparato il senso della struttura, della frase e dell’armonia. E da Alban Berg ho imparato a non servirmene quando non ne ho voglia.

Dopo esserti laureato all’Istituto Orientale, hai proseguito gli studi presso le università di Modena, Barcellona e Madrid. In seguito hai lavorato come redattore e traduttore per svariati network televisivi italiani ed internazionali e per varie case editrici. Come approdi ad “Onirica Edizioni”?
Permettimi di dire che gli anni dell’Orientale sono stati i più belli e importanti della mia vita. Molti dicono che chi sopravvive a quell’università può affrontare qualunque cosa e in un certo senso è proprio così. Quando sono andato a studiare in Spagna e poi a Modena tutto mi è sembrato terribilmente semplice. Senza che me ne accorgessi, il delirio entropico dell’Orientale si era cucito sulla mia pelle come una solida corazza. Del lavoro per la televisione, invece, non ricordo altro che lo stress, inaffrontabile per una persona dai ritmi lenti come i miei. L’attività di traduttore continua, ma della televisione non voglio più sentir parlare! Per tornare alla tua domanda: sono approdato ad Onirica Edizioni in modo molto semplice. Ho partecipato con Litany ad un concorso e dopo qualche mese ho scoperto di essermi classificato primo. Quel concorso era perfetto per il mio libro, un’alchimia irripetibile!

“Litany” è un romanzo che fa riflettere sull’orrore della vita ma anche sulla sua bellezza…
Esatto. Io credo che ci sia un punto in cui l’orrore e la bellezza diventano la stessa cosa. Un luogo difficile da raggiungere, oltre il quale le macrocategorie non hanno più senso e dove c’è posto solo per il sublime. L’accesso a questa dimensione sovrasensibile, però, non è determinata dalla contemplazione di uno spazio naturale “terribile” o “spaventoso”, come nell’interpretazione di Burke e Kant, ma è esperibile solo attraverso un sacrificio emotivo, in quanto lo scenario di devastazione non è più nell’oggetto osservato ma nel soggetto che osserva, non nella natura contemplata, quindi, ma nell’uomo che contempla. L’oggetto e il soggetto della contemplazione, in sostanza, coincidono. Litany non è altro che un viaggio in quella dimensione sovrasensibile e il racconto del sacrificio necessario a raggiungerla.

Un racconto che è prosa e anche poesia … una dolce, struggente, litania appunto…
Considero Litany un romanzo lirico, per quanto in una forma ibrida e moderna basata sull’idea di approssimazione in limine al verso poetico. Ogni frammento del romanzo, in omaggio alla tradizione umanistica, è autodeterminante sul piano dei significanti, ma funzionale alla struttura narrativa su quello dei significati.

Su una spiaggia desolata un Bambino e il suo Topo, una Signora, il Vecchio e, finalmente, un Uomo. Come hai dato il via alla scelta combinata di questi insoliti protagonisti?
I primi ricordi che ho di questa storia risalgono addirittura alla mia infanzia. Il primo tentativo di scrivere il libro risalgono, invece, agli anni dell’università ma si trattò di un tentativo infruttuoso. In quella prima versione, Litany era anche il nome del piccolo protagonista. All’epoca mancavano alcuni elementi importanti per la definizione della storia. Alcuni personaggi e alcuni luoghi. Soprattutto, non avevo ancora ben chiaro in che relazione fossero tra di loro. Poi, un po’ alla volta, come avrebbe detto Pirandello, sono venuti a farmi visita e ad esigere una propria collocazione nel libro. Litany è nato così. Come in tutte le opere letterarie i protagonisti erano lì da qualche parte. Io ho dovuto attendere che il nostro incontro avvenisse per poterli raccontare.

Si tratta di una fiaba horror che non finisce mai di stupire…
In realtà, tutte le fiabe sono horror! La fiaba ha le stesse origini dei racconti cosmogonici, per tanto nasce come bisogno di rispondere a paure ancestrali. Pensa alla grande tradizione barocca e romantica, in cui il simbolismo grottesco e orrorifico della favola ha raggiunto il suo culmine: le sorellastre di Cenerentola per riuscire a calzare la scarpetta si mozzano i piedi, nel Pentamerone di Giambattista Basile, uno dei più grandi favolieri di tutti i tempi, le scarnificazioni e le mutilazioni fisiche sono presenti un po’ ovunque (La bella dalle mani mozze, La vecchia scorticata). Per non parlare di Barbablù, probabilmente il racconto più inquietante sul tema del senso di colpa che sia mai stato scritto. Insomma, potrei farti decine e decine di esempi: persino Dario Argento si è ispirato al mondo delle favole per scrivere alcuni dei suoi film. Purtroppo, però, nel ‘900, la componente orrorifica e, fatto ancor più grave, quella grottesca e simbolica, sono state spazzate via dalla retorica Disneyana, che ha edulcorato tutto, stravolgendo il senso primigenio di questo genere letterario e trasformandolo nell’ennesimo strumento di diffusione di certi valori della società wasp statunitense. Per fortuna la rielaborazione postmoderna di Angela Carter ha in parte rimesso in ordine le cose. E come nelle opere della Carter, in Litany gli archetipi della favola si fondono alle suggestioni gotiche.

Insomma un libro da odiare o da amare, ma che non lascia indifferenti!
Per fortuna! La lettura del libro ha generato le reazioni più di disparate, ma mai l’indifferenza! Meglio così: l’indifferenza è l’unico vero fallimento per un’opera letteraria!

Come vivi l’attesa dell’imminente uscita del tuo libro?
Con ansia. Ma anche con quel sottile piacere, forse un po’ masochistico, che accompagna le lunghe attese di qualcosa di bello.

Perché il lettore dovrebbe scegliere Litany?
Perché è un libro diverso! Sicuramente insolito, per le nostre “patrie lettere”. Perché risponde al bisogno di fascinazione che chi si appresta a leggere un libro ha (o dovrebbe avere). Perché è una sfida, uno sberleffo, uno schiaffo in pieno viso alle logiche dell’attuale marketing editoriale. Chi ama le sfide e detesta allinearsi con il mainstream dovrebbe leggerlo!

Bene! Restiamo in trepidante attesa del tuo romanzo! Tra l'altro Onirica Edizioni verserà un euro all'associazione AMRI per ogni copia acquistata nel periodo natalizio. Dunque, perché non regalare un buon libro e fare del bene al destinatario e ai bimbi che soffrono?

Come non essere d’accordo? Grazie a te e a tutti quelli che hanno creduto in Litany.

Irene Losito