Pejote, anarchia e sciamanesimo: una miscela esplosiva!

In “La magie du mal” Thomas ha dovuto affrontare personaggi che vivono ai margini del mondo conosciuto; qui, invece, la storia procede in una sorta di ricapitolazione che tende a rievocare vicende a tratti borderline, dove il protagonista è spinto da un’innata anarchia a lottare contro la società attuale e le istituzioni, nel disperato tentativo di ritrovare la propria identità perduta. 

La lotta esistenziale di un uomo contro una realtà che si frantuma sotto il suo sguardo; dove lo sfondo della scena è però dipinto dalla morte.

R.d.C.

Dalla prefazione di Patrizia Birtolo

Irriverente, dissacrante, capace di un’ironia feroce, che non si arresta anzi travalica compiaciuta il limite del pudore benpensante e delle piccole grandi ipocrisie cui tutti per quieto vivere ci uniformiamo: questa appare, di primo acchito, la cifra stilistica di Roberto di Chio, autore di un romanzo che lascia, é il caso di dirlo, piacevolmente straniti. Con un sapiente mix di suggestioni eterogenee Di Chio costruisce una storia che, al pari dei disegni in movimento quando si sfoglia velocemente un cineografo, si può percorrere dall’inizio alla fine e viceversa, vista la natura circolare e autoconclusiva degli spunti suggeriti. Il rimando alla tradizione letteraria si compie con l’omaggio al genere della picaresca; Di Chio infatti tratteggia un protagonista sporco, arruffone, che vive di espedienti e si barcamena con allegra disinvoltura spesso divertendosi ma sempre divertendoci, puntuale e pronto com’è a cogliere negli altri e nella realtà circostante l’aspetto laido, triviale e basso corporeo. Ma a queste note di folklore, a questo spezzare i registri alti di certi passaggi e atmosfere segue poi un’iniezione di contenuti e richiami d’effetto sicuro. Magia e tarocchi, sciamanesimo e stati di coscienza alterata, tutto si fonde e contribuisce a innalzare un’impalcatura fragile ed evanescente, illusoria ed effimera, che si frange in un caleidoscopico gioco di specchi di un Sé diviso fra memoria e coscienza, rimesso in discussione innumerevoli volte sia dal protagonista che dal narratore. Sono entrambi la stessa persona? In questa risposta c’è la chiave per l’interpretazione del testo, racchiusa nelle ultimissime pagine del libro; non possiamo però né vogliamo svelare nulla al lettore. Possiamo solo anticipare che leggere Thomas Mac Greine – La notte oscura dell’anima è, da un punto di vista letterario, intraprendere l’ascesa di una di quelle impossibili scale raffigurate da Escher, che l’Autore peraltro non manca di citare nel romanzo. Percorrerle darà un senso di vertigine pronto ad accentuarsi quando ci accorgeremo che, nel caso di questo romanzo, narratario e lettore reale coincidono. Proprio a noi si sta rivolgendo il narratore... E dallo scoprirci alle prese con un protagonista che si sente e vive come “reale” ed “esistente” prende il via la sottile, strisciante inquietudine che ci lascia questa lettura; specialmente nel finale, spiazzante e imprevedibile. Come ricorda Borges in Altre Inquisizioni “simili invenzioni suggeriscono che se i personaggi di una finzione possono essere lettori o spettatori, noi, loro lettori o spettatori, possiamo essere personaggi fittizi”.